Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata inaspettata. Un giornalista radiofonico, con tono entusiasta, mi chiedeva se fossi disponibile per un’intervista in diretta. Aveva letto della mia presenza al primo posto nella classifica mondiale degli oncologi esperti di melanoma secondo la rivista americana Expertscape.com, e desiderava approfondire il significato personale di questo riconoscimento e le emozioni che lo hanno accompagnato.
La notizia ha fatto rapidamente il giro del web, suscitando grande attenzione. La cosa che mi ha colpito di più è che non avevo mai davvero riflettuto sul valore simbolico di questo riconoscimento nonostante questo risultato risalga già dalla fine del 2019, ben prima che la pandemia cambiasse il mondo.
È stata proprio l’inaspettata viralità della notizia a offrirmi l’occasione per fermarmi, guardare indietro, e dare nuovo senso a un traguardo che fino a oggi avevo vissuto in modo silenzioso e personale.
Così ho iniziato a pensare: cosa significa davvero essere al primo posto in una classifica del genere?
Certo, è un onore. E non nego di aver provato gratitudine e anche un po’ di orgoglio nel vedere riconosciuto il lavoro quotidiano, la dedizione, la ricerca continua.
Ma il pensiero che mi accompagna ogni giorno — e che voglio condividere — viene prima di ogni classifica, prima di ogni medaglia.
La mia “competizione” quotidiana non è per un podio personale, ma per una vittoria collettiva:
sconfiggere il melanoma, migliorare le terapie, aumentare l’aspettativa e la qualità di vita delle persone che convivono con questa malattia.
Perché questo non è — e non può essere — un percorso individuale.
Non si tratta di una gara solitaria, ma di un gioco di squadra.
Amo lo sport, lo seguo con passione. Come tanti, mi emoziono davanti alle imprese degli atleti, faccio il tifo per una squadra e gioisco per ogni traguardo raggiunto.
E come nello sport, anche in medicina la partita si gioca insieme: non si vince da soli.
È uno sport di squadra, dove ogni medico, ogni ricercatore, ogni infermiere, ogni volontario — e soprattutto ogni paziente — gioca un ruolo fondamentale.
Come nel calcio, dove il goal nasce da un’azione corale e la vittoria è merito non solo di chi segna, ma anche di chi costruisce l’azione, difende, allena e sostiene dagli spalti, anche nella medicina ogni risultato è frutto di un lavoro condiviso.
Un lavoro fatto di fiducia, collaborazione e determinazione comune.
Ecco perché questo riconoscimento, pur importante, ha senso solo se lo leggiamo così: non come il traguardo di un singolo, ma come un simbolo di ciò che possiamo raggiungere insieme.
Facciamo il tifo per la prevenzione.
Sosteniamo la ricerca.
Lavoriamo insieme.
Solo così, davvero, potremmo dire che siamo tutti numeri uno.